Forse non tutti sanno che Dino Campana ebbe vita travagliata. Nacque a Marradi, paesino in provincia di Firenze, in Toscana, nel 1885. Nel 1913, a circa ventotto anni, consegnò un manoscritto ad Ardengo Soffici e a Giovanni Papini direttori entrambi della rivista “Lacerba”, manoscritto che purtroppo andò perduto, dimodoché nel 1914 il poeta iniziò a riscriverlo. Dino Campana aveva infatti ingenuamente consegnato a Soffici e a Papini l’unica copia esistente del testo. Il manoscritto fu ritrovato in una casa di Ardengo Soffici solo cinquant’anni dopo, nel 1971. Il poeta soffrì molto di questa perdita.
Ebbe una storia d’amore con Rina Faccio, in arte Sibilla Aleramo, avvenuta tra il 1916 e il 1917, un anno prima di finire nel manicomio di Castel Pulci, la quale fu tumultuosa, impetuosa e violenta. Tra l'altro Sibilla Aleramo lo tradì anche con Giovanni Papini e Ardengo Soffici.
Nel 1914 uscì per Ravagli la prima edizione dei "Canti Orfici" nata sulle ceneri del precedente manoscritto, andato smarrito, dal titolo "Il più lungo giorno". Era un’edizione zeppa di errori e benché Dino tentasse di vendere personalmente le copie nei caffè e per strada, i risultati furono scadenti. Solo nel 1928 – quattro anni prima della morte dell’autore – la casa editrice Vallecchi fece uscire una seconda edizione. Non chiese alcun permesso a Campana, del resto ricoverato in manicomio e ritenuto ormai incapace di intendere e di volere. Anche questa edizione del ’28 risultò densa di refusi, storpiature, lacune. Nel 1941 uscirono altre edizioni dei Canti Orfici. Solo in seguito, soprattutto grazie a Montale e a Luzi, si procedette alla riabilitazione della figura di Dino Campana come poeta.
Nei leggii sono riportate notizie, spiegazioni, foto e parte dei testi poetici che fanno riferimento ai ricordi, al paesaggio, agli elementi della natura, agli scenari urbani di cui Campana parla nei Canti Orfici.
Marradi, nonostante gli eventi bellici e le inevitabili modifiche del tempo, ha lo stesso sapore del passato, immutati sono rimasti infatti i suoi emblemi: il castello, la cupola rossa con il leone, il fiume Lamone che “si snoda per la valle” e “trascorre le mura nere” del convento.
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