Segnalo "SensofOrme" di Roberto Pagnani, presso la niArt Gallery, via Anastagi 4a/6, Ravenna (RA) dal 24 febbraio al 10 maggio 2018. Testo e catalogo di Luca Maggio, direzione artistica di Felice Nittolo. La mostra resterà fruibile fino al 10 maggio 2018, osservando gli orari seguenti: martedì, mercoledì 11-12,30 / giovedì, venerdì 17 – 19 / sabato 11-12,30 - 17-19, altri giorni e orari appuntamento al 3382791174
"Sforme" è
un neologismo che aiuta a definire l’ultimo e inedito ciclo pittorico di
Roberto Pagnani dedicato al corpo femminile, unione di SFOndi da cui emergono
tonalità e combinazioni che costituiscono l’humus cromatico primo e sottostante
alla campitura celeste di superficie, e di foRME di donna quasi giustapposte a
questa o meglio, secondo il proposito dell’autore, quasi figure strappate e
poste sulla tela (in realtà nate su tale supporto), simulando una relazione ludicamente
contraria alla street art. Il rapporto dialogico, dunque denso di
costruzioni e contrasti, tra forme e sfondi e colori, ora volutamente opachi
ora lucidi, alternando voluttuosamente quanto deliberatamente smalti e tempere
e acrilici, è il cuore di questi lavori che vivono secondo lo stesso Pagnani di
una “pittura sensorialmente tattile”. Se l’unità d’insieme pare garantita dall’azzurro
omogeneamente steso con i pennelli, ben presto si avvertono le divergenze,
laddove in squarci talvolta brevi come lampi dell’inconscio si affacciano rossi,
beige, gialli, blu e avorio non dipinti sopra l’azzurro ma sotterranei a esso e
costituenti pertanto l’anima prima e nascosta dei quadri, a simulare gli strappi
stessi lungo i bordi delle figure o talvolta affioranti in alcuni particolari all’interno
dei corpi rappresentati. Il celeste, in genere delicato, diviene dunque
quasi pop rispetto alle tecniche usate per le forme femminili, che non si
generano in forza di pennello, ma grazie a colpi di spatola e mano, oltre
all’impiego di stecchini immersi negli smalti neri sia per marcare e ispessire i
contorni sia per le fondamentali colature, reminiscenze d’informale che sempre
lavorano in Roberto, impronte che continuano la vita delle singole opere oltre
l’intenzione razionale dell’autore. Come sostiene la straordinaria Greta Wells, protagonista del capolavoro
di Andrew Sean Greer: “Siamo molto di più di quello che diamo per scontato”. E impronte della memoria, scatti
fotografici non in posa, talvolta con cenni di moto, possono considerarsi questi
schizzi di donna che sono completi proprio nella loro indeterminatezza voluta,
immaginati senza volto, in qualche caso senza braccia, ma presenti con i volumi
di schiena e seni e glutei e gambe talvolta fasciate da folgori seducenti di
calze nere o rosse o gialle, oggetti-soggetti pittorici in sé (come nel superbo
lavoro fotografico del ’78 di Carla Cerati, Forma
di donna, in cui l’autrice scriveva in premessa: “Mi resi conto che quel
corpo per me aveva cessato di appartenere a una persona: non era altro che un
oggetto tridimensionale con una capacità di assorbire o riflettere o respingere
la luce.”), la cui identità non va cercata in una modella che di fatto non
esiste, ma nelle forme stesse che li fondano, col loro carico di disordine immediato
e manuale, sbozzato e dotato di craquelure, contro l’ordine equabile e
rassicurante dell’azzurro su cui paiono poggiarsi grazie ai contorni accesi dal
colore: questi esaltano la sensuosità della materia carnosa in via di
sfacimento e perciò aperta alle cromie sottostanti: esse, nel rivelarsi a
tratti, smangiate, contribuiscono a risolvere il piacere carsico della tela, fra
prigionia di un desiderato masochismo pittorico e sua liberazione.
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